Credits: Daniel Nanescu/splitshire

Volkswagen è uno dei maggiori produttori di veicoli di tutto il mondo. Il suo nome, in tedesco, significa vettura del popolo e non è difficile capirne i motivi. Fu fondato nel lontano 1937 da Adolf Hitler, il dittatore che aveva un debole per le automobili. Il suo obiettivo era quello di regalare, ai cittadini meno ricchi, mezzi con un chiaro e deciso motore teutonico. Si affidò a Ferdinand Porsche, ingegnere e imprenditore austriaco che aveva il compito di progettare veicoli robusti, affidabili, semplici ed economici. Così, dopo pochi mesi, lo stesso Porsche presentò a un entusiasta Hitler una cabriolet e due berline. Tre prototipi realizzati in poco tempo, utili a soddisfare il Führer, felice nell’individuare in Bassa Sassonia, precisamente nella futura città di Wolfsburg, la zona adatta per far nascere l’azienda che, da lì a pochi anni, sarebbe diventata un colosso.

Ma la guerra cambiò le carte in tavola e la fine del conflitto fu fondamentale per la nascita vera e propria della Volkswagen. Tra tanto lavoro, molti sacrifici, gli operai che entrarono a far parte del progetto tedesco, diretti da Heinz Nordhoff, modificarono l’auto pensata da Hitler, trasformandola nella Volkswagen 1200, più comunemente conosciuta come Maggiolino. Fu il primo veicolo dell’azienda tedesca immesso in commercio e la l’orgoglio di tutto il popolo teutonico era indescrivibile. Si era aperta una pagina importante di storia.

Ma le cose, tuttavia, non continuarono ad andare per il verso giusto. Vuoi per scelte manageriali discutibili, vuoi per l’idea di creare auto non propriamente belle da vedere, la Volkswagen conobbe il primo periodo di crisi. Tra lo stupore generale di tutti, addetti ai lavori e non, l’azienda tedesca rischiava seriamente di fallire. Così, senza pensarci due volte, i vertici decisero di affidare la rinascita alla matita di Giorgietto Giugiaro. Il designer italiano, apprezzato in tutto il mondo, inventò auto che, negli anni, diventarono indispensabili e fonte di ricchezza per l’azienda tedesca. E quindi, si ricordano vari modelli: la Passat, la coupé Scirocco, la comodissima Polo, l’utilitaria che registrò un’alta percentuale di vendite.

E finalmente, tirando un grosso sospiro di sollievo, la Volkswagen superò indenne il brutto momento, rendendosi protagonista di altre creazioni, con le versioni adatte alla famiglia a farla da padrone. Così furono variate altri modelli della Golf, della Lupo oltre alla produzione della Sharan, la monovolume nata nel 1995.

Gli anni ’90, tra varie idee e tanti riconoscimenti ricevuti, come ad esempio il premio “dell’Auto dell’anno” ottenuto dalla terza serie della Golf, rendono estremamente soddisfatti i vertici Volkswagen, adesso più che mai sulla cresta dell’onda. E si va avanti, tra pochi bassi e molti alti, con tutti i mercati, compreso quello americano che, a poco a poco, iniziano a capire realmente il valore del marchio tedesco.

Ironia della sorte, però, proprio gli Stati Uniti d’America, a settembre 2015, sono i protagonisti di uno dei più grandi scandali dell’industria dell’automotive. Lo scorso anno, di questi tempi, l’EPA, l’agenzia di protezione dell’ambiente statunitense, accusava Volkswagen di avere falsato i risultati dei test relativi alle emissioni dei motori diesel venduti come il 2.0 TDI. Una notizia sconvolgente per l’intero mondo dell’automobile, che trovò conferma con l’ammissione dello stesso gruppo tedesco.

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E quella notizia, come tutti ben ricorderanno, provocò grosse perdite finanziarie nel quartier generale di Wolfsburg, oltre alle dimissioni dell’allora amministratore delegato Martin Winterkorn, prontamente accettate per far posto al nuovo CEO, Matthias Mueller, ex dirigente Porsche e, dunque, già in orbita Volkswagen. Malgrado tutti i cambiamenti, le scuse e gli ingenti danni, l’eco dello scandalo non accenna a placarsi, almeno per quanto riguarda le vendite negli USA.

Stando ai dati riportati dal Corriere della Sera e da altre testate nazionali e internazionali, l’azienda tedesca ha registrato un -9.12%, ovvero 2.948 veicoli rimasti invenduti rispetto allo stesso periodo del 2015 (32.332 contro gli attuali 29.384). Una flessione che si accomuna con quella di luglio (-8,12%) e che fa capire realmente il periodo difficile che Volkswagen sta attraversando negli Stati Uniti. Una sorta di replica della crisi incontrata negli anni ’70, superata alla grande grazie a nuove idee messe in campo da un italiano. E la domanda sorge spontanea: cosa si inventerà l’azienda tedesca per fermare il periodo di preoccupante involuzione che dura, ormai, da 10 mesi consecutivi?