Foto: ANSA/FRANCO SILVI

Bollo auto. Due parole che fanno paura a molti cittadini residenti in Italia, costretti a “combattere” con un tributo scomodo per molti. Ogni anno, specialmente in questo periodo, chi possiede un veicolo deve immediatamente trovare due minuti di tempo per recarsi negli uffici ACI, dal tabaccaio o nelle agenzie preposte, per ottemperare al pagamento di una tassa, capace di causare polemiche su polemiche.

C’è chi afferma che è anticostituzionale, sbagliando per ovvi motivi. C’è chi vorrebbe eliminarlo perché non è giusto. C’è chi lo paga con molti sacrifici. Testualmente, se andiamo a conoscere il significato del bollo auto, sul web si trova questa stringa: “è un tributo locale, che grava sugli autoveicoli e motoveicoli immatricolati nella Repubblica Italiana, il cui versamento è a favore delle Regioni d’Italia di residenza”. Dunque, il denaro versato da automobilisti e motociclisti finisce nelle casse regionali che, in molti casi, non usano i proventi per riparare le strade danneggiate, forse uno dei grattacapi maggiori della Penisola che provoca incidenti, anche mortali.

Ma vi siete mai chiesti quando è nato e chi ha voluto fortemente il bollo auto? La tassa di circolazione, denominata così fino a qualche tempo fa, è nata nel lontano 9 febbraio del 1952, in un progetto che prevedeva, entro un anno, la raccolta, da parte del Governo, di un testo unico di tutte le disposizioni vigenti in materia di tasse automobilistiche. Così, grazie al Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) del 5 febbraio del 1953 n. 39 (“Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche”) è stato approvato ufficialmente il bollo auto.

Il tributo, valevole per autoveicoli e motoveicoli, è stato voluto fortemente dall’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi e dal Premier Alcide De Gasperi.